«Quando vado a dormire, il mio ultimo pensiero è che cosa darò da mangiare ai miei figli l’indomani. Vivo a Hurucune, un piccolo villaggio nel distretto di Memba in Mozambico, dove sono nata, come mia madre, mia nonna e la mia bisnonna prima di me. Le mie giornate sono identiche alle loro in passato: mi sveglio alle quattro, indosso la capulana – un tradizionale telo colorato –, avvolgo un’altra stoffa attorno alla testa e vado dai miei genitori per occuparmi dei lavori domestici insieme ai miei due figli. Rafael, quattro anni, è molto sveglio e sta imparando a fischiettare, con risultati molto comici, mentre Egimilsone ha appena compiuto un anno.
Per le pari opportunità
Dai miei genitori faccio il bagno ai bimbi, li vesto e do loro la papinha, una pappa di mais o manioca. Poi spazzo il cortile e lavo i piatti della sera prima. Non sono sposata, quindi vivo direttamente accanto ai miei genitori in una piccola casetta, anche se vorrei averne una grande e bella come la loro, recintata con canne, con un cortile ombreggiato e una latrina. Sappiamo quanto è importante l’oratta, l’igiene, per la nostra salute, ma molte persone qui non hanno il gabinetto, la fanno semplicemente fuori.
Dopo le faccende del mattino, prendo il secchio da venti litri e vado alla pozza a prendere l’acqua, che è sempre sporca e ci fa venire la diarrea. Il fosso è lontano e faccio fatica a trascinare a casa il secchio, ma prima era peggio: la mamma e la nonna dovevano andare ancora più lontano e non avevano contenitori di plastica, solo vasi di argilla o scatole di latta da dieci litri. C’erano anche leopardi, iene e serpenti, che a volte attaccavano le persone. Un giorno, prima che nascessi, è arrivato un dottore e ha detto che c’era acqua a Linhane, vicino a Hurucune. Hanno scavato e trovato una fonte, che utilizziamo ancora oggi.
Ora tocca a me occuparmi di mia madre, proprio come lei ha fatto con la sua. A volte mi accompagnano i miei fratelli e le mie sorelle per aiutarmi a trasportare i secchi. È molto faticoso, anche se ci siamo abituati. L’acqua proviene da un grosso buco nel terreno e per prenderla utilizziamo un contenitore di plastica fissato a un bastone. Di solito riusciamo a trasportare dieci secchi per bere, cucinare, lavare noi e i piatti.
Madina Muhuthage, Hurucune, Mozambico
Per i campi usiamo invece una piccola fonte vicino al nostro orto, dove coltiviamo manioca, mais, arachidi, pomodori e melanzane. Nella stagione delle piogge abbiamo buoni raccolti, in quella secca però non cresce praticamente niente. La manioca viene essiccata sul tetto in lamiera e poi pestata nel pilão, un grande mortaio. Con la farina prepariamo la caracata, un piatto tipico che mangiamo ogni giorno.
Dopo aver preso l’acqua, accendo il fuoco e preparo la pasta per il pane che vendiamo in un piccolo mercato qui vicino, dove si possono trovare piatti di plastica, dadi di pollo e qualche verdura. Noi vendiamo panini e pagnotte, rispettivamente a 5 (0,07 franchi) e a 10 meticais, e badjia, delle frittelle. Con quello che guadagniamo, compriamo sapone, farina di mais e vestiti per i bambini. Mia madre dice che non basta neanche per sopravvivere e che se avesse più soldi ne condividerebbe la metà con le altre famiglie del villaggio, così staremmo tutti meglio.
La mamma ha imparato a fare il pane a Nacala-Porto, una grande città nella nostra provincia, dove mio fratello Agi va a scuola. Gli invio sempre qualche soldo per permettergli di studiare. In città, le persone hanno cellulari e televisione. In famiglia solo il papà, che fa il pescatore, ha un telefono. Quando la mamma è tornata da Nacala-Porto, con l’argilla ha costruito un forno a legna e ci ha mostrato come si fa il pane. Adoro il profumo che sprigiona mentre cuoce. Quando è pronto, preparo il pranzo, poi mi godo il pomeriggio, il momento migliore della mia giornata: ho tempo di sedermi e di riposarmi, chiacchierare con le mie sorelle, la mamma e le zie, o giocare a banana – nascondino – con le amiche.
Alla sera lavo ancora i bimbi e preparo la cena. Poi vado a letto, chiudo gli occhi e mi preoccupo di che cosa darò da mangiare ai miei figli l’indomani.
L’arrivo del ciclone
Quando due anni fa è arrivato il ciclone Kenneth, il fiume è straripato e ha allagato tutto. L’acqua è salita in un attimo, il tempo di svegliarci e già arrivava alle caviglie. Per tre giorni siamo rimasti senz’acqua per bere o cucinare perché i fossi dai quali la attingevamo erano inutilizzabili.
Noi siamo stati fortunati perché viviamo più in alto, ma la mia amica Elsa e gli altri che si trovano vicino al fiume hanno perso tutto, l’inondazione ha travolto tutte le case. Come molti altri, Elsa si è trasferita qui con i suoi tre figli. Ogni giorno spuntano nuove case, così abbiamo ricevuto un nuovo sistema di approvvigionamento idrico. A volte porto Rafael alla torre dell’acqua che alimenterà i pozzi, uno dei quali si troverà proprio vicino a casa nostra, forse avremo addirittura un rubinetto. Ne siamo felici, perché cambierà le nostre vite. Di tutti i miei compiti, andare a prendere l’acqua è il più faticoso: i secchi sono pesanti e ci vuole troppo tempo. Spero che i miei figli non dovranno soffrire come me. Con l’acqua a disposizione si ammaleranno meno, avranno tempo per la scuola e non dovranno andare così spesso dal dottore.
Chissà, forse arriverà anche l’elettricità, una scuola o un centro sanitario, te lo immagini? Sarebbe bello anche avere un ponte che ci colleghi a Memba, visto che per andare all’ospedale dobbiamo ogni volta scendere lungo il fiume e attraversarlo a valle. Nei periodi secchi non è un problema, ma durante la stagione delle piogge si gonfia e abbiamo bisogno della barca. I miei figli sono nati con la pioggia, Rafael a mezzogiorno. Lo ricordo bene, era il primo e io ero terrorizzata, ho tremato fino a quando non siamo arrivati in ospedale. Ci abbiamo messo un’ora: prima abbiamo dovuto raggiungere il fiume, poi attraversarlo con la barca e camminare fino all’ospedale. Con Egimilsone è stato diverso, ero più tranquilla. Lui però aveva fretta ed è nato sulla barca poco prima dell’alba. Per fortuna, con me c’erano la mamma e una levatrice.
Per le pari opportunità
Se fossi nata in Europa
Ho già detto che ho 21 anni? Mi chiedo come vivano le ragazze della mia età in Europa… immagino che vadano a scuola e abbiano un lavoro, così da provvedere ai loro figli. Magari sono maestre o infermiere e vivono in case con mura vere. Se non sono impiegate, magari gestiscono un negozio, forse preparano il pane come faccio io e nel tempo libero vanno al parco a giocare con i figli.
Hanno di sicuro l’acqua corrente, bei vestiti e cibo sano, per esempio spaghetti, frutta, riso, carote e prodotti costosi come il latte. Che mangino anche loro la caracata?
Se fossi nata in Europa, sarei certamente andata a scuola e avrei imparato il portoghese per parlare con i mucunhas – gli stranieri – che visitano il nostro villaggio. Io parlo il makwa, la lingua della provincia di Nampula. Sono anche andata per un po’ a scuola, ma ho dovuto smettere in quarta elementare perché i miei genitori non potevano permettersi il materiale e l’uniforme. Non ho imparato molto, so solo scrivere il mio nome. La scuola era lontanissima, ma mi piaceva andarci.
Non ho rinunciato al sogno di bambina di diventare infermiera o levatrice, oppure anche poliziotta. Se un giorno avrò una femmina, farò di tutto perché possa frequentare la scuola, realizzare i suoi sogni, avere un lavoro e occuparsi della famiglia, come faranno anche i miei figli.
Mi chiamo Madina e questa è la mia storia. Mi racconti la tua?